Newsletter#4 – Fondazione Roche: 5 anni di dialogo e collaborazione con uno sguardo al futuro

Fondazione Roche festeggia i primi cinque anni di attività e guarda al futuro: l’Italia ha bisogno di muoversi verso una medicina a misura d’uomo e il settore pubblico e quello privato devono collaborare unendo competenze e risorse soprattutto i ‘dati’. A novembre è in programma il secondo appuntamento dell’iniziativa “Tutto nella norma”, insieme a Formiche, un format nato per incoraggiare e promuovere il dialogo nel mondo della Salute, questa volta dedicato all’importanza della diagnostica e alla necessità di una governance di settore. La ricerca indipendente si conferma un valore inestimabile per il Paese, e Fondazione continua a sostenerla: nella newsletter trovate l’intervista a Danilo Buonsenso, uno dei ricercatori premiati con il bando Fondazione Roche per la ricerca indipendente. Istituzioni, medici, pazienti: la tutela della salute è un dovere di tutta la comunità, e anche le aziende devono partecipare: un esempio è il volontariato di competenza. 

Cinque anni di Fondazione Roche, la mano sempre tesa verso il territorio 

Quando nel 2017 Roche festeggiò i 120 anni di attività in Italia, decise di farsi un prezioso regalo di compleanno, creando Fondazione Roche, con un intento ben preciso: in uno scenario complesso come il ‘Sistema Salute’ non bastava più interloquire con i classici stakeholder del mondo sanitario, adottando gli strumenti tradizionali, ma era necessario affrontare temi innovativi e centrali come la ricerca indipendente o i diritti delle persone, anche allargando in questo senso il dibattito istituzionale, con il coinvolgimento di interlocutori non convenzionali. Cinque anni fa è iniziato questo percorso intenso e stimolante, nel corso del quale – grazie al sostegno dei soci fondatori – sono state profuse risorse, finanziarie e umane, per far nascere, crescere e sostenere progetti con impatto concreto negli ambiti di interesse.  

In particolare, Fondazione Roche si è mossa su quattro direttrici portanti e complementari: la ricerca indipendente, i diritti delle persone, il dibattito istituzionale e il sostegno a iniziative sociali a vantaggio della comunità. Infatti, la prevenzione, la diagnosi, la cura e l’assistenza devono essere l’impegno delle istituzioni e della collettività, in modo da avere un confronto attivo e individuare proposte d’azione per la tutela del cittadino in materia di salute, e la comunità, valorizzando anche la leva dell’innovazione sociale come un volano indispensabile per rispondere ai bisogni delle persone e ridurre il disagio. Quattro aree di intervento che interagiscono sempre fra loro perché la salute e il loro benessere delle persone si costruiscono con più tasselli: in questo contesto, Fondazione Roche è convinta di poter contribuire con un lavoro di rete e di co-progettazione che coinvolga anche interlocutori non appartenenti al mondo della salute. 

Da quando è nata, Fondazione ha stanziato oltre 4 milioni di euro attraverso il bando “Fondazione Roche per la ricerca indipendente”, che si è affermato come una delle iniziative di maggior successo in questo ambito, perché ha sopperito alla carenza di fondi pubblici, consentendo a giovani ricercatori di avviare progetti di ricerca indipendente, e dunque non legati all’interesse specifico di Roche, che non avrebbero avuto altrimenti possibilità di successo. Nella prospettiva di rafforzare il dibattito su tematiche di rilievo per il SSN e le persone, è inoltre rilevante la pubblicazione nel 2020 e nel 2021 dei “Libri Bianchi” sulla ricerca indipendente, il conflitto d’interessi e la collaborazione pubblico-privato, ai quali farà seguito a breve anche un nuovo testo, redatto da esperti in discipline giuridiche, scientifiche o tecnologiche, che affronterà il tema dei dati in salute. E ancora il sostegno diretto ad oltre 100 associazioni di pazienti, grazie all’aggiudicazione delle diverse edizioni del bando “Fondazione Roche per i pazienti – Accanto a chi si prende cura”, che hanno permesso la realizzazione di progetti per migliorare la qualità della vita di pazienti e caregiver, in modo particolare nelle aree dell’Oncologia ed Ematologia, Malattie Rare, Neuroscienze, e Oftalmologia.  

Guardando ai più recenti avvenimenti per programmare il nostro impegno futuro, non possiamo trascurare l’insegnamento derivato dall’emergenza sanitaria della pandemia e dal conflitto in Ucraina, che hanno determinato un grave impatto economico e sociale, acuendo il divario nell’accesso ai servizi tra le varie fasce della popolazione e generando il rischio concreto che, per far fronte ad altri bisogni, si trascurino le esigenze della salute, dalla prevenzione alla cura. 

Riflettere e provare ad intervenire su questi argomenti è un impegno che Fondazione Roche intende assumere, con il sostegno dei propri soci fondatori.  

Si continuerà quindi ad affiancare il sistema sanitario nazionale, nella consapevolezza della necessità che il settore della salute possa essere sostenibile, anche grazie all’innovazione rappresentata dalla medicina di precisione e dalle terapie e diagnosi mirate ai bisogni del singolo individuo. Solo attraverso questa traiettoria, infatti, si possono coniugare le esigenze cliniche con quelle sociali, favorendo nel contempo l’evoluzione del SSN, un bene da proteggere con cura, come ben evidenziato già nel 2018, nell’iniziativa che battezzò il ‘debutto in società’ di Fondazione Roche.  

“Tutto nella norma”, Fondazione Roche e Formiche insieme per un dibattito a più voci sui diritti delle persone fragili e sull’evoluzione del sistema salute  

Si chiama “Tutto nella norma”, ed è un progetto pensato da Fondazione Roche e dal periodico Formiche con un obiettivo preciso: «Incoraggiare e promuovere il dialogo nel mondo della Salute», spiega Flavia Giacobbe, direttrice di Formiche, «e per offrire una piattaforma di confronto e crescita, approfondendo questioni di policy che hanno un impatto significativo sulla qualità della vita dei cittadini, con l’intento di condividere idee, proposte e progetti».  

“Tutto nella norma” è un forum dove si incoraggia una discussione libera, ma argomentata, su temi di politica sanitaria, con particolare attenzione alla tutela dei diritti delle persone che vivono una condizione di fragilità e alla prevenzione. Coinvolgendo interlocutori apparentemente distanti dalle tematiche della salute, istituzioni, clinici, associazioni di pazienti ed esperti, l’ambizione è quella di offrire una piattaforma dove condividere idee, proposte e obiettivi. All’interno di questo contenitore, di volta in volta, vengono affrontati specifici temi coerenti con la “mission” di Fondazione Roche, auspicando talora di poter anticipare e alimentare il dibattito pubblico. «Il progetto», continua Giacobbe, «ha al centro le persone più fragili e la difesa dei diritti dei cittadini. Un tema che non ha colore politico e che per essere affrontato con efficacia ha bisogno di regole, cioè norme. Da qui, lo slogan “Tutto nella norma”, che comunica efficacemente il bisogno di “normalità” che hanno tutte le persone che la società ritiene diverse. Si tratta di un muro culturale da abbattere e il progetto vuole dare un piccolo contributo».  

Il primo evento di “Tutto nella norma” si è tenuto il 14 giugno 2022 a Palazzo Wedekind a Roma. A partire da una riflessione generale sull’intangibilità dei diritti delle persone, in particolare quelle fragili, per le quali una limitazione comporta un vulnus dello stesso status di cittadini, l’evento “Tutto nella norma: il diritto di vivere come tutti” ha approfondito quanto affermato, talvolta anche normato, ma spesso non ancora garantito alle persone con malattia rara. In particolare diritti quali inclusione, cura e assistenza, istruzione, lavoro, ricerca, devono essere soddisfatti in maniera universale, anche per le persone affette da patologie rare, come sancito una volta di più dalla legge 175 del 2021. Prendendo spunto dall’entrata in vigore di questo provvedimento, l’evento ha incoraggiato un dialogo sulle modalità utili a garantire il soddisfacimento di tali diritti attraverso la piena implementazione delle norme esistenti e il superamento delle barriere per le persone fragili. Non ci si è limitati a discutere delle misure da adottare per migliorare la qualità della vita delle persone interessate, ma si è riflettuto sul valore della diversità con un approccio etico, filosofico e pratico. Pubblico e protagonisti riflettono la volontà di favorire il dialogo tra pazienti, politici, istituzioni, clinici e soprattutto pazienti, principali beneficiari dello sforzo comune. 

«Il prossimo appuntamento è in programma in autunno 2022 e avrà come oggetto la diagnostica in vitro, alla luce dell’esperienza pandemica e della mancanza di una governance ad hoc che possa garantire al meglio i bisogni dei cittadini, in una logica di sostenibilità. Si tratta di temi di ampio interesse, che di volta in volta stabiliamo in sinergia con la Fondazione», anticipa Giacobbe. 

Partendo da una riflessione sul ruolo e sul valore della diagnostica in vitro come parte essenziale dell’assistenza sanitaria, in grado di fornire informazioni rilevanti in ogni fase del percorso del paziente, il secondo incontro si soffermerà sulle barriere che possono limitare il diritto del cittadino ad una diagnosi corretta e tempestiva e sulle possibili soluzioni, incluse quelle normative. A partire dal grado di innovazione che contraddistingue la medicina di laboratorio e le sue specificità, l’evento si pone quindi l’obiettivo di avviare un dialogo aperto su una governance che possa migliorare l’assetto attuale, che limita l’accesso alla diagnosi più appropriata e determina disparità di accesso e servizio per i cittadini e i pazienti. La medicina di laboratorio del futuro esige infatti l’elaborazione di una visione olistica di lungo periodo, condivisa dagli operatori pubblici e privati e in grado di superare le compartimentazioni funzionali e le logiche settoriali attuali. 

Il futuro della ricerca indipendente passa dalla fiducia che diamo ai giovani 

Lo scorso 13 luglio, presso il MIND di Milano, si è svolta la premiazione relativa al bando “Fondazione Roche per la ricerca indipendente”, giunto alla sesta edizione e finanziato complessivamente con 400mila euro (pari a 50mila euro per ciascun aggiudicatario). Quest’anno l’aggiudicazione ha riguardato sei ricercatrici e due ricercatori under 40 provenienti da differenti istituti italiani: si tratta di Fabrizia Bonacina, Università degli Studi di Milano; Virginia Brancato, Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Milano; Danilo Buonsenso, Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma; Stefania Faletti, Istituto Europeo di Oncologia Milano; Simona Francia, Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova; Cristina Olgasi, Università del Piemonte Orientale di Novara; Francesco Salton, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina di Trieste; Valentina Tedeschi, Università degli Studi di Napoli Federico II. I loro progetti innovativi ambiscono a migliorare la salute e il benessere dei pazienti in aree ad alto bisogno: oncologia, ematologia oncologica, oftalmologia, neuroscienze, malattie ereditarie della coagulazione, Covid, digital health e medicina personalizzata (PHC). I progetti sono stati valutati in modo indipendente da Roche dal prestigioso partner Springer Nature e hanno superato una selezione di 263 proposte. Dal suo avvio ad oggi, le varie edizioni del bando hanno erogato oltre 4 milioni di euro, esaminato oltre 2.300 proposte e finanziato 56 progetti. 

Tra i premiati di quest’anno, come detto, figura uno dei top ricercatori giovani d’Italia, il pediatra molisano Danilo Buonsenso del Policlinico Gemelli di Roma, 37 anni. «Nutrivo qualche speranza, ma non mi aspettavo di essere tra i vincitori, vista la qualificata concorrenza. Questo è un bando super competitivo, perciò la soddisfazione è enorme», ammette il giovane medico, che all’Università di Oxford ha conseguito una specializzazione in Malattie infettive pediatriche. «Il percorso formativo accademico mi ha permesso di mettere a punto una proposta di studio sulla caratterizzazione clinica e biologica del “long Covid” in età pediatrica: ci riferiamo, in sostanza, a una serie di sintomi che persistono nei nostri pazienti almeno per dodici settimane dopo l’infezione da Covid. È una sindrome ancora poco conosciuta e riconosciuta. Non parliamo di aspetti psicologici bensì di fatica cronica, dolori muscolo-scheletrici, dolori addominali, problemi neuro-cognitivi (come vuoti di memoria e difficoltà nella concentrazione), facile affaticabilità dopo sforzi anche lievi. Secondo una nostra stima, l’uno per cento dei bambini colpiti dal virus non torna al quadro di benessere pre-Covid. Abbiamo fatto una proposta di definizione clinica e immunologica del long Covid. Sottoporremo i bambini a uno specifico follow-up ed eseguiremo indagini immunologiche anche nei pazienti guariti dal Covid. Cercheremo di capire come diagnosticarlo e curarlo». 

Il gruppo di lavoro del Policlinico Gemelli è stato il primo al mondo a rendersi conto dell’insorgenza di questa sindrome. L’équipe guidata dal dottor Buonsenso si è messa in contatto con un network di malattie infettive pediatriche e «questo – spiega il medico – ci ha permesso di sviluppare una rete internazionale. Ne fanno parte colleghi degli Stati Uniti, del Sud America, di molti Paesi europei e asiatici. Lavoriamo anche in stretta collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità, con la quale condividiamo tutti i dati e le più recenti informazioni. In questo modo è stato più facile attivare protocolli di ricerca a livello internazionale. È emerso che il long Covid colpisce bambini di tutto il mondo e non è una conseguenza psicologica dell’infezione o del lockdown, come tutti volevano far credere. In questi pazienti c’è qualcosa a livello intestinale o vascolare che stimola in maniera cronica il sistema immunitario. Per fortuna i bambini mostrano generalmente una risposta al virus molto più forte ed efficace rispetto alla maggior parte degli adulti. E visto che questo mese riaprono le scuole, da pediatra dico che bisogna puntare alla presenza in aula di tutti gli studenti, concedendo loro la facoltà di decidere in autonomia se indossare o meno la mascherina. È una scelta di buonsenso. Alcuni vorranno farlo, magari per motivi di salute, altri invece no. La chiusura delle scuole non ha mostrato un impatto concreto nella riduzione dei casi, perché i bambini si possono infettare in altri contesti». 

Alla premiazione dei vincitori, svoltasi lo scorso luglio, ha partecipato Ilaria Capua direttrice del centro di eccellenza One Health Università della Florida: «Mi piacerebbe che, da questo evento, nascesse una nuova consapevolezza sulla rilevanza della ricerca indipendente», ha dichiarato. «La pandemia è stata un fortissimo acceleratore perché ci ha fatto capire che siamo vulnerabili, che non eravamo preparati, che è possibile scambiarsi informazioni e lavorare insieme. Oggi più che mai, investire sul talento dei giovani dev’essere una priorità per il nostro Paese, e iniziative come questa permettono di esprimere la potenza della ricerca anche attraverso la diversità. Bisogna fare in modo di trattenere ed incentivare le ricercatrici in modo che possano dare il massimo, anzi sempre di più. Purtroppo, la pandemia sta provocando in tutto il mondo un’emorragia di donne dagli ambiti di ricerca». 

Profit e non profit: lavorare insieme per lavorare meglio  

Nel corso delle fasi inziali dell’emergenza pandemica i soci fondatori della Fondazione Roche hanno offerto al proprio personale la possibilità di operare come volontari al servizio del numero verde della Protezione Civile, garantendo così il proprio contributo di competenza alla soluzione delle problematiche dei cittadini in un periodo di particolare criticità. Sulla base di questa esperienza, Fondazione Roche ha collaborato con Terzjus (l’Osservatorio di diritto del Terzo settore, della filantropia e dell’impresa sociale, costituito nel 2019) e con la società Eudaimon ad una ricerca che raccogliesse le esperienze di “volontariato di competenza” che hanno coinvolto imprese profit impegnate in attività no profit. I dati sono raccolti in un ‘instant book’ redatto da Luigi Bobba e Gabriele Sepio, rispettivamente presidente e segretario generale di Terzjus. «La ricerca sul volontariato di competenza che abbiamo condotto, dal titolo “Quando il sociale e l’impresa fanno squadra: Professione Volontario”, ha preso in esame dieci casi aziendali: 3M Italia, Boehringer Ingelheim, Chiesi, Edison, Gruppo Marazzato, Novacoop Piemonte, Novartis, Roche, Snam, Unipol Sai», spiega Bobba. «Analizza e porta in evidenza un fenomeno forse ancora poco conosciuto, ma che rappresenta una prospettiva di sicuro interesse. In particolare, le imprese coinvolte nello studio hanno coinvolto attivamente i propri collaboratori affinché scegliessero di mettere le proprie competenze professionali a disposizione di enti pubblici o del Terzo settore nello sviluppo di progetti e attività di interesse collettivo». 

Bobba illustra le quattro azioni che, nel prossimo futuro, si riveleranno necessarie perché questo fenomeno di nicchia possa diventare un elemento ordinario nello sviluppo dell’azione volontaria. «Innanzitutto, bisognerebbe far conoscere questa opportunità, che al momento è concentrata soltanto in alcune grandi imprese: può diventare la proiezione di un rapporto, dove la valorizzazione non è tanto fatta da risorse in denaro bensì da competenze messe a disposizione dalle imprese profit per progetti e azioni di soggetti del Terzo settore. Secondo: questa opportunità di prestito di personale da parte delle aziende profit ha un incentivo fiscale che andrebbe rafforzato e promosso. Oggi un’impresa può dedurre fino al 5 per mille del totale del costo del lavoro dei suoi collaboratori che vengono prestati a enti di Terzo settore, credo che si possa elevare questo tetto. La terza azione da intraprendere riguarda la possibilità di valorizzare queste esperienze di volontariato di competenza ai fini del welfare aziendale, ovvero di considerare questa scelta da parte delle imprese un elemento di crescita della propria reputazione sociale, che non è un irrilevante bensì un elemento qualificante, al quale guardano con crescente interesse i consumatori: anziché attribuire i premi di produttività unicamente sulla base di indicatori economici, come la crescita del fatturato, bisognerebbe tenere conto anche degli indicatori di carattere sociale. Quarta e ultima azione, più di ordine culturale, è la capacità di far percepire all’interno dei mondi profit e del Terzo settore che queste due realtà possono convergere verso obiettivi comuni: da un lato perché le imprese possano incorporare nella loro stessa missione aziendale la realizzazione di beni a favore della comunità in cui operano; dall’altro, perché gli enti di Terzo settore possano aprirsi alla possibilità di inserire nelle proprie attività le competenze maturate nel mondo profit. È una sfida importante per il prossimo futuro e qualificante per dare senso allo slogan, un po’ semplicistico, di “fare bene il bene”. 

Cioè di farlo con tutte quelle competenze che permettono di migliorare l’efficacia dell’azione volontaria». Il presidente Bobba individua anche altri vantaggi per le imprese che promuovono il volontariato di competenza: «Possono mettere alla prova i propri dipendenti in situazioni complesse o non consuete, dunque permettere loro di misurarsi con sfide inedite con una flessibilità nell’affrontare problematiche inusuali. Poi c’è l’opportunità di acquisire dal mondo non profit capacità che non sempre si ritrovano all’interno della propria azienda. È uno scambio virtuoso bidirezionale. Ecco, questo aspetto potrebbe essere l’obiettivo della prossima ricerca». Una nuova lettura dalla prospettiva del Terzo settore, dunque. Sapendo che il potenziale è enorme ma che ci sono dei problemi da superare, soprattutto sul versante delle piccole aziende. «Occorrerà coinvolgere i soggetti di rappresentanza delle Pmi», suggerisce Bobba. «Progetti supportati dalle confederazioni che sostengono lo sviluppo delle piccole imprese, andando oltre la singola micro realtà». 

Il presidente di Terzjus rivela, poi, due elementi della ricerca che lo hanno meravigliato: «Mi ha sorpreso rilevare che le imprese monitorate non avessero conoscenza dei sostegni di natura fiscale. Sono esperienze che sono nate non tanto sulla leva fiscale, quanto per una scelta legata alla sensibilità di un dirigente aziendale o per un particolare legame con una comunità territoriale. Mi ha poi colpito vedere che alcune persone delle realtà che hanno operato in questa direzione, hanno poi maturato delle scelte professionali autonome, diventando consulenti delle organizzazioni di Terzo settore. È un fenomeno che potrebbe avere ulteriori sviluppi in futuro, una delle traiettorie che oggi bisogna considerare soprattutto quando guardiamo alle generazioni più giovani». 

L’esperienza del volontariato di competenza è particolarmente significativa per la Fondazione Roche, nella misura in cui concilia l’attenzione dell’impresa alle problematiche sociali e collettive con un tentativo di risposta innovativo, che può modificare i comportamenti, sino ad incidere sulla cultura e sull’identità aziendale. 

È per questo motivo che la riflessione su questo argomento proseguirà anche in futuro.