Newsletter #2: per la salute degli italiani. ieri, oggi e domani

Le iniziative sostenute da Fondazione Roche sono nel pieno delle loro attività. Qualcuna si è conclusa, come la Children’s Walk, ma i risultati e le donazioni raggiunte stanno permettendo di sviluppare un progetto innovativo per sostenere i bambini autistici e le loro famiglie. Si chiama “Toc Toc”, nato per “tamponare l’emergenza”, si poi trasformato in una vera rivoluzione all’approccio terapeutico. Intanto tra qualche settimana vedrà la luce anche la seconda edizione del Libro Bianco dedicato al rapporto pubblico-privato per la ricerca biomedica. Un lavoro di squadra, un confronto tra esperienze e pareri di esperti che vanno dall’ambito accademico alle associazioni di pazienti fino al mondo delle imprese, per capire come le diverse componenti valutano il rapporto tra pubblico e privato e come questo può essere gestito. E a proposito delle associazioni di pazienti, per noi di Fondazione Roche è fondamentale sostenerle, così anche quest’anno abbiamo promosso il bando, arrivato alla quarta edizione, “Fondazione Roche per i Pazienti”, a disposizione di ci sono 500mila euro che finanzieranno 22 progetti. Intanto abbiamo partecipato all’Alzheimer Fest di Cesenatico, una tre giorni fatta di storie, arte, musica, persone, che ci hanno ricordato quanto è importante stare insieme e condividere paura e desideri…

Camminare insieme per camminare meglio

Se c’è un filo rosso che lega le oltre 100 affiliate in 60 Paesi di Roche è la consapevolezza che da soli non si va da nessuna parte: per fare la differenza bisogna camminare insieme. E “Stronger together” è il claim della Roche Children’s Walk, a cui aderisce anche Roche Italia. Una camminata simbolica che grazie alle donazioni dei dipendenti supporta progetti a favore dei minori in difficoltà in Italia, Malawi, Etiopia, Nepal e Kenya. Dalla prima edizione nel 2003 hanno partecipato 248mila dipendenti e sono stati raccolti 18 milioni di euro. Il partner locale dell’edizione 2021, che si è svolta lo scorso giugno, è stata la Fondazione Renato Piatti che, da più di vent’anni, si occupa di persone con disabilità intellettive complesse e disturbi del neurosviluppo e delle loro famiglie. «Ci prendiamo cura», racconta Maurizio Ferrari, responsabile dell’area Comunicazione e Raccolta Fondi della Fondazione Piatti, «di oltre 550 persone attraverso l’attività di 16 strutture in Lombardia, fra cui il Centro per l’Autismo di via Rucellai a Milano, che attualmente ospita circa 90 bambini con diagnosi di disturbo dello spettro autistico. Dobbiamo guardare all’autismo come una modalità diversa di affrontare e incorporare il mondo, e in quanto tale “né giusta, né sbagliata”, ma unica. È una condizione da riconoscere, sostenere e “attrezzare” per una vita che sia il più possibile di qualità». L’autismo può portare all’isolamento, non solo di chi ne soffre, ma dell’intero nucleo familiare. «Nel 2020», continua Ferrari, «i decreti governativi emessi per fronteggiare l’emergenza sanitaria ci hanno imposto di chiudere temporaneamente i nostri tre centri riabilitativi per minori, tra cui quello di Milano. É in quei mesi che è nato il bisogno impellente di riorganizzarci anche sviluppando un servizio a distanza: i bambini e le bambine del nostro centro non dovevano interrompere la terapia, le loro famiglie non potevano essere lasciate sole davanti all’imprevedibile». Per garantire la continuità dell’assistenza ai bambini e alle loro famiglie, Fondazione Piatti ha dovuto ripensare radicalmente i propri programmi di sostegno. È nato così “Toc Toc”, un progetto di teleriabilitazione, che Fondazione Roche ha deciso di sostenere, e che ancora oggi continua mixando sedute di terapia in presenza e a distanza. «Toc Toc», spiega Maurizio Ferrari, «grazie a colloqui telefonici, videochiamate e videoconferenze ha offerto la possibilità per il bambino e per i suoi genitori di proseguire, da casa, con le attività di riabilitazione cognitiva e comportamentale. Laddove necessario abbiamo messo gratuitamente a disposizione delle famiglie i tablet per collegarsi da remoto». Il Centro Autismo di Milano è un centro accreditato con il soggetto pubblico, le liste d’attesa per iniziare il percorso terapeutico spesso sono lunghe, e le terapie hanno una durata che può variare dai due ai tre anni. Per questo motivo la fondazione sta lavorando ad un ampliamento dell’iniziativa permettendo a tanti bambini in lista di attesa di poter avviare un primo percorso di cura anche a distanza: «Toc Toc avrà una piattaforma vera e propria, abbiamo già la versione beta del progetto. Sulla piattaforma i genitori e i bimbi troveranno materiali e video tutorial per fare riabilitazione anche in assenza di un educatore dall’altra parte dello schermo. Tutti i programmi saranno personalizzati in base ai bambini, perché – e di questo siamo convinti – non si può parlare di autismo, ma di autismi. Con Toc Toc quindi saremo anche in grado di ridurre il carico dell’attesa facendo iniziare le attività da remoto». Oggi il progetto è diventato un elemento indispensabile e complementare nell’attività riabilitativa di Fondazione Renato Piatti: «L’iniziativa sta andando meglio di quanto ci potessimo aspettare. Nata per “tamponare l’emergenza” si è poi trasformata in una vera rivoluzione all’approccio terapeutico. I bimbi che hanno un medio-alto funzionamento si sono abituati in fretta, i genitori, che ora sono coinvolti in prima persona, si sentono vicini al piano terapeutico del bambino. Partecipano con i figli ai programmi a distanza e acquisiscono facilmente gli strumenti di intervento necessari nella vita di tutti i giorni».

Persone prima che pazienti

La malattia non riguarda solo il paziente ma ci riguarda tutti. Così come la cura, che è il frutto di un grande lavoro di rete e co-progettazione dove nessun attore si può tirare indietro. Il ruolo delle associazioni dei pazienti è fondamentale: muovono la ricerca, raccolgono fondi e sviluppano percorsi di sensibilizzazione. Si impegnano e ci ricordano che una buona qualità della vita per chi è malato è importante tanto quanto la terapia che assume: prima viene la persona, poi la malattia. Per Fondazione Roche è fondamentale sostenere le associazioni dei pazienti e per questo promuove la quarta edizione del bando “Fondazione Roche per i Pazienti”, per mettersi a fianco delle associazioni, e a sostegno dei progetti che desiderano sviluppare, per migliorare la qualità della vita delle persone malate, dei caregiver e per rispondere ai bisogni di chi affronta o ha affrontato percorsi di cura. «Abbiamo organizzato momenti di socialità per i pazienti: visite nei parchi e nei musei», racconta Ernesto Borelli, Presidente AEL Onlus, Associazione emofilici Lazio. «Assicurare un supporto sociale ed umano alle persone affette da emofilia, è un pezzo fondamentale della cura. Grazie al contribuito del bando a cui abbiamo partecipato lo scorso anno, abbiamo potuto sostenere i nostri associati». Ogni malattia ha i suoi bisogni: «Come Associazione EpaC Onlus», dice Ivan Gardini, che ricopre la carica di presidente, «stiamo sviluppando – grazie ai fondi ottenuti dal bando di Fondazione Roche a cui abbiamo partecipato nel 2020 – un progetto informatico di divulgazione. Ogni anno si ammalano di tumore al fegato dalle 10mila alle 13mila persone, ne muoiono circa 10mila. È un tumore difficile da curare, con una mortalità elevatissima. Abbiamo deciso di proporre un percorso informativo perchè spesso le persone si trovano disorientate davanti alla malattia, così proviamo ad indirizzarle nelle strutture adeguate, strutture che possano gestire bene e fin dalla diagnosi, questo tipo di tumore». Fondazione Roche per l’edizione 2021 del bando intende supportare le associazioni di pazienti finanziando 22 progetti. Una impostazione coerente, tra l’altro, con gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, perchè da un lato implementa innovazioni, in particolar modo di tipo digitale, che contribuiscono a rendere più efficaci ed efficienti i processi informativi legati alla sanità, e dall’altro favorisce la costituzione di reti di prossimità, strutture intermedie e sistemi di telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale, così da rafforzare le prestazioni erogate sul territorio grazie al potenziamento e alla creazione di strutture e presidi territoriali. Quest’anno le aree di riferimento sono tre. La prima è Oncologia ed Ematologia oncologica, alla quale saranno dedicati 200mila euro, per un totale di 10 progetti premiati dedicati alle categorie di Pneumologia Oncologica, tumori femminili alla mammella e all’ovaio, Epatocarcinoma, Carcinoma al Pancreas, Uroteliale (prostata, vescica), Neoplasie Ematologiche. Poi Malattie Rare: qui saranno allocati 140mila euro, per un totale di 7 progetti appartenenti alle categorie Emofilia, Atrofia Muscolare Spinale, Distrofia di Duchenne. La terza area riguarda Neuroscienze e Oftalmologia l’importo dedicato sarà di 60mila euro, per un totale di 3 progetti inerenti la Sclerosi multipla, Neuromielite ottica, Malattia di Alzheimer, Oftalmologia (Maculopatia diabetica e Degenerazione Maculare Senile). Infine, novità di questa quarta edizione, l’inserimento di due premi da 50mila euro ciascuno, che verranno assegnati ai progetti presentati esclusivamente da reti di Associazioni di Pazienti, anche trasversali alle aree individuate, che formuleranno una proposta di progettualità basata sulla collaborazione tra loro e con altri interlocutori istituzionali, sia nazionali sia locali, e altre realtà come le Fondazioni. Con questo contributo da 100mila euro si vuole premiare la capacità di fare rete e partnership nell’individuazione di soluzioni progettuali ad alto impatto per la comunità e per il Sistema Salute. C’è tempo fino al 15 ottobre 2021 per candidarsi attraverso il sito di Fondazione Roche.

La ricerca scientifica? Passa dalla capacità di saper fare network

Fondazione Roche in collaborazione con FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti) e con Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, sta lavorando alla realizzazione di un Libro Bianco dedicato al rapporto pubblico-privato per la ricerca biomedica. Questa iniziativa fa seguito alla prima pubblicazione dedicata in particolare agli investimenti in ricerca indipendente in Italia e al tema del conflitto di interessi. Il nuovo Libro Bianco sarà divulgato alla fine dell’autunno (la pubblicazione sarà curata da Edra con il contributo incondizionato di Fondazione Roche) e nasce con l’obiettivo di analizzare le dinamiche che limitano e quelle che possono, invece, rendere virtuose le partnership tra enti pubblici e privati, soprattutto alla luce delle criticità evidenziate dalla pandemia: protezione brevettuale, normative, accelerazione della ricerca e sostenibilità del sistema sanitario nazionale. «Ci siamo posti il problema di capire cosa stesse succedendo alla ricerca», spiega Gualberto Gussoni, Direttore Scientifico di FADOI, e curatore del volume insieme a Sergio Scaccabarozzi, Responsabile della gestione operativa della ricerca presso IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, «dobbiamo ancora una volta ricordare alle Istituzioni il valore che la ricerca biomedica può assumere in questo Paese». L’Italia è fanalino di coda in Europa nella ricerca. «Stando ai dati ufficiali», dichiara Sergio Scaccabarozzi, «nel nostro Paese solo l’1,35% del PIL è destinato alla ricerca (in tutti i campi) rispetto ad una media UE del 2,07%. Nello specifico ambito della ricerca clinica, in Italia oltre il 90% della spesa è oggi a carico di aziende private. Inoltre quasi sempre la ricerca biomedica viene assimilata al concetto di spesa, ma ci si dimentica per esempio che attraverso la ricerca clinica sponsorizzata da Aziende private il Servizio Sanitario Nazionale riceve compensi, rimborsi per indagini diagnostiche e farmaci sperimentali a titolo gratuito. In un momento di riflessione rispetto a quello che stava succedendo e continua a succedere, abbiamo deciso di riprendere il filo del discorso e sviluppare una nuova analisi per focalizzare l’attenzione sulla relazione tra pubblico e privato e il valore che essa può avere per la ricerca biomedica». «La pandemia», aggiunge Gussoni, «ci ha esplicitamente mostrato che il valore della ricerca scientifica è inestimabile e che c’è davvero bisogno di creare le condizioni per far lavorare in sinergia ente pubblico e privati. Una relazione che se saprà essere lineare e trasparente porterà benefici a tutto il Paese». Dieci capitoli: dalla fotografia del rapporto tra pubblico e privato in Italia tra ideologie, barriere e opportunità, al quadro normativo nel quale si opera oggi. Dalla responsabilità sociale e la sostenibilità della ricerca fino alla gestione delle emergenze. Tenendo sempre alto il focus sulle persone, sui cittadini/pazienti tra speranza, diffidenza e fiducia nelle soluzioni per la salute. «Nel testo», continua Scaccabarozzi, «metteremo a confronto esperienze e pareri di esperti che vanno dall’ambito accademico alle associazioni di pazienti fino al mondo delle imprese, per capire come le diverse componenti valutano il rapporto tra pubblico e privato e come questo può essere gestito». Una cosa è certa: «La ricerca biomedica», chiosa Gussoni, «dovrebbe essere un valore fondamentale del sistema Paese. Un valore che è ovviamente innanzitutto sanitario, e di conseguenza sociale, ma anche politico, geopolitico e non per ultimo economico. Oggi in Italia è più che mai importante trovare uno spazio per una ricerca che sia prima di tutto collaborativa. Dobbiamo superare gli ostacoli ideologici e giuridici, fare network e mettere a fattor comune tutte le competenze e risorse che abbiamo a disposizione».

Alzheimer Fest, la festa di tutti 

“Ma esiste una cura? C’è un farmaco che può rallentare la malattia? Guarirò?” Sono queste le domande che affollano la testa quando arriva la diagnosi di una forma di demenza. In Italia le stime parlano di un milione e 200mila persone affette e di tre milioni di famiglie coinvolte. L’Alzheimer rappresenta il 60% di tutte le demenze. Ma la malattia non è “solo” una malattia. Assomiglia anche ad un movimento subdolo che porta le persone a credere di essere sole, ma non deve andare per forza così. Ne è un esempio l’Alzheimer Fest, che sia chiaro, non è un “festival sull’Alzheimer”, ma un momento di incontro con e per le persone con diagnosi di demenza, con le loro famiglie, con i caregiver, gli operatori e non solo loro. «Questo Festival», racconta Michele Farina, ideatore dell’iniziativa e presidente dell’associazione Promozione Sociale Alzheimer Fest, a ricoprire il ruolo di vice presidente è Marco Trabucchi, «è nato per stare insieme. Per ritrovarsi, per dire alle persone che vivono questa esperienza in solitudine, a volte con senso di colpa o di vergogna tanto da non sentirsi più parte della comunità, che invece dobbiamo condividere, stare in una piazza pubblica con le nostre difficoltà come con i nostri desideri. “Mettere in piazza” non in senso negativo, ma come “messa in relazione”. Questo Festival infatti è una possibilità per non sentirsi soli nelle difficoltà: perché l’Alzheimer e le altre forme di demenza non tolgono di mezzo la vita. È anche una festa di cose belle: musica, arte, teatro, dolce far niente. Si incontrano le persone, le famiglie, gli artisti. Anche gli operatori e i medici, per una volta senza camici, pronti ad ascoltare e a mettere a disposizione competenze e conoscenze a chi ne ha bisogno». Dopo il lago (Gavirate), i monti (Levico Terme) e la pianura (Treviso), nel 2020 l’Alzheimer Fest è sbarcato a Cesenatico dove si sono svolte la quarta e la quinta edizione dell’iniziativa che è “andata in scena” dal 10 al 12 settembre 2021, ed è stata un successo straordinario. Migliaia i partecipanti per una tre giorni di eventi, oltre 80 quelli in programma. «L’Alzheimer Fest è un evento itinerante che unisce arte, sociale, cultura e territorio in un unico appuntamento. La sfida è quella di ritrovare per le persone fragili un ruolo attivo nella vita socio-culturale della comunità», dice Farina. Il tema di questa quinta edizione è stato “Inimitabili”. «La nostra forza è essere fragili, inimitabili appunto», spiega Farina. «E se la demenza non cancella i tesori nascosti dentro ciascuno di noi, per non sfociare in solitudine, le unicità dei singoli vanno cucite insieme facendosi tessuto comune. L’Alzheimer Fest è come l’Oktober Fest – osavamo dire cinque anni fa – con meno birra e più abbracci”. In un tempo in cui abbracciarsi è diventato così complicato, abbiamo comunque trovato il modo di farlo, anche solo con il cuore, in sicurezza. Insieme possiamo intrecciare il filo dei giorni con l’ordito della dignità: un tessuto un po’ rattoppato, ma resistente». Fondazione Roche ha sostenuto la realizzazione di tutto il Festival e partecipato e preso parte a due panel: “Cronaca di Malattie Croniche: il futuro della cura” e “Il Graal dell’Alzheimer: ricerca e nuovi farmaci”. «La possibilità di poter fare domande sulle patologie è una cosa fondamentale per i pazienti e le loro famiglie», aggiunge Farina. «Il mondo delle demenze ha tante facce che passano dalla cura alla qualità della vita. L’obiettivo del Festival è anche quello di far dialogare tutti questi aspetti e mettere in contatto realtà che di solito non si incrociano». Dopo questo viaggio di tre giorni fatto di storie, arte, musica, persone soprattutto, la sensazione è quella di «non essere un marziano», racconta Farina. «Le persone a cui è stata diagnosticata una demenza e le loro famiglie sentono di non essere isolate da tutto. Sono venuti in tanti con la loro gioia e il loro dolore, al Festival si ride e si piange. E tutti sono stati protagonisti: chi ha portato un’esperienza, chi ha cantato, chi ha visto un film o uno spettacolo. Chi ha fatto attività fisica in piedi o in carrozzina. Si è mangiato, bevuto. Un momento per cuori feriti e vite da rifiorire».